ATTRAVERSO IL LIMITE
Visioni di Passione e Silenzio
Il Sacro Monte; un luogo del silenzio lungo il quale poter ascoltare il rumore dei propri passi. Non
solo una passeggiata per ammirare le bellezze del varesotto, ma un vero e proprio percorso di
riflessione interiore e di riscoperta cui l’atmosfera inevitabilmente conduce. Un gioiello incastonato
fra le cime delle Prealpi nel quale arte e paesaggio si fondono con estrema naturalezza,
accompagnando il visitatore a partecipare di tale meraviglia. Percorrendo la salita, infatti,
quattordici Cappelle hanno accompagnato sin dal 1604 i pellegrini attraverso i misteri del Rosario
in esse rappresentati.
Walter Capelli, con la sua arte fotografica, ha voluto però spingersi oltre. Essere spettatore delle
rappresentazioni sacre è sicuramente un’esperienza intensa ed edificante, sia da un punto di vista
artistico che spirituale, ma il suo desiderio e la sua curiosità sono sempre stati quelli di poter entrare
nel vivo delle Cappelle, rendendosi partecipe della scena stessa. Con il tempo si è reso conto di
voler trasportare anche i viandanti al loro interno proponendo la visione delle singole statue e degli
affreschi attraverso la luce dei suoi occhi. Questo perché l’idea che lo ha sempre accarezzato è stata
quella di cambiare posizione alle sculture, di donare loro prospettive visibili solo da un rapporto a
tutto tondo con esse e, infine, di rielaborare le immagini al fine di valorizzarne i dettagli, i volti, le
espressioni e persino gli oggetti che, in modo quasi invisibile, in sottofondo, rendono reale e
quotidiana la scena rappresentata. «Il Sacro Monte ce l’ho nel cuore: è un luogo vicino a casa, dove
arte e religione si fondono perfettamente nell’ambiente naturale e che, grazie alla sua salita, fa
pensare a qualcosa di bello da raggiungere.
Non è la prima volta che, camminando, mi fermo a fare delle fotografie. Però, i miei pensieri andavano
ogni volta verso qualcosa di diverso del semplice immortalare il paesaggio così come lo vediamo e del “documentare”
gli interni delle Cappelle con le loro opere fine a se stesso.
Volevo metterci del mio, creare qualcosa di artistico, una sorta di contribuito al fine di valorizzare il posto e di farlo
conoscere sotto una luce del tutto nuova».
La sua missione è diventata chiara. Attraverso la fotografia è riuscito, infatti, a liberare la staticità
delle sculture, estraendo la loro vitalità forte e aggressiva secondo la sua percezione e intuizione. E
non solo, poiché gli scatti sono stati enfatizzati mediante una tecnica di stampa su lastre di metallo
contorte e ripiegate, arricchite da pennellate bianche e volumizzate grazie a tratti di grafite, le quali
hanno prodotto un effetto di armonica tridimensionalità e di emozionante impatto visivo. Così havisto i suoi natali la mostra
Attraverso il Limite – Visioni di Passione e Silenzio, estremamente
rivoluzionaria nel mostrare un Sacro Monte assolutamente inedito e vivo.
«Di per sé le sculture hanno già una loro forza, ma non potevo accontentarmi di fotografarle con la
luce studiata dagli architetti che hanno progettato le Cappelle. Sono volutamente entrato con le mie
luci per dare alle sculture un carattere e una veste completamente diversi, ancora più
tridimensionali, forti ed espressivi, o per lo meno con l’espressione che cercavo io». Il risultato
finale è stato quello di aver ottenuto dei dettagli, dei dinamismi e delle espressività che hanno
portato alla nascita di opere al di là del puramente fotografico, adorne di un filo che connette
passato e presente attraverso un dialogo con gli artisti che hanno modellato per primi i soggetti.
«Pur sapendo di non conoscere a quale artista fosse direttamente attribuita ogni singola scultura,
avevo sempre l’impressione di essere accompagnato dagli artigiani che ci hanno lavorato nella
ricerca della luce o nella corretta ripresa dei personaggi, spesso ritrovandomi a pensare a chi o a
cosa ciascuno si fosse ispirato». Aver avuto la possibilità di entrare fisicamente nelle Cappelle e
aver potuto vivere la scena dall’interno ha sicuramente giocato un ruolo fondamentale nel tessere
tale rapporto: «È impressionante, pare di vivere la magia di entrare in un quadro, come un
passaggio tra reale e surreale, un’esperienza straordinaria in cui lo spirito sembra tuffarsi in una
dimensione in cui si respira serenità e in cui il lavoro si trasforma in pura espressione del mio io».
E nel silenzio più totale, Walter ha sentito le voci delle sculture, il rumore della scena. È stato allora
che è riuscito a liberare le statue, a dar loro movimento, a far prendere loro vita. La totale
immersione gli ha permesso di riscoprire figure “insignificanti”, magari anche poco visibili
dall’esterno, che hanno in realtà la forza di raccontare non tanto la scena nella quale sono
intercalate, quanto l’animo dell’osservatore stesso; sono quei volti che si possono scorgere in mezzo
alla folla, che partecipano degli eventi rappresentati come semplici spettatori, che incarnano la
varietà dell’esperienza umana. «Ad esempio, durante la Crocifissione, possiamo vedere i carnefici,
il pubblico che incita e poi c’è una donna, completamente indifferente, quasi messa lì per caso.
Eppure, fotografandola e girandole attorno, ho pensato che forse rappresenta l’uomo comune che, di
fronte ai problemi del mondo, spesso rimane inerte».
Interessante è il ruolo attribuito alle mani che spiccano rispetto ad altri dettagli e che paiono,
talvolta, uscire dai quadri o interpellare direttamente l’osservatore, indicandolo: «Le mani parlano,
spesso più del volto stesso. A volte, poi, indicano anche da che parte si debba guardare, spingendo
l’occhio in determinate direzioni, aiutando a leggere la storia rappresentata».Riguardo ai soggetti, poi, straordinario
è il fatto che la figura del Cristo, presenza fortissima e impattante nella sua cruda rappresentazione,
passi quasi in “ultimo piano”, facendosi umile ancora una volta, venendo percepita non tanto attraverso la sua nuda materialità,
ma grazie al coinvolgimento delle scene stesse: «Persino nella Cappella della Crocifissione, quella a mio avviso
più bella, l’occhio è naturalmente portato a guardare verso l’alto, verso il Cristo. Ma il
coinvolgimento in cui si è trasportati partecipando a ciò che accade ai Suoi piedi è impressionante;
per questo si sente che è Lui il personaggio principale, ma solo perché la percezione che qualcosa di
terribile e spettacolare al tempo stesso è appena accaduto proviene dal basso, dalla folla in
subbuglio. Ciò che veramente trasmette la Sua persona è, invece, di raccoglimento dell’intera scena,
grazie alle braccia spalancate che paiono protese in una sorta di grande abbraccio».
Particolari restano, infine, il quadro sull’Annunciazione e sull’Ascensione di Gesù, a giudizio del
fotografo le Cappelle più difficili da riprendere, dal momento in cui la prima si sviluppa solamente
attraverso due sculture, l’Arcangelo e Maria, e pochissimi affreschi, motivo per il quale è stata
realizzata una sola opera in metallo di tale scena. La seconda perché le sculture genuflesse
presentano una posizione molto simile tra loro: «È stata una sfida, ma sono convinto, attraverso il
cambio di proporzioni, di essere riuscito a creare stupore, soprattutto grazie all’affresco soprastante
con la schiera degli Angeli che da fuori tende a sfuggire e che per tale ragione ho deciso di
riprodurre in un’unica opera panoramica».
Con ciò, la mostra non vuole essere destinata ai soli fedeli, poiché chiunque può essere
piacevolmente assorbito dalle forme e dai volumi, perdendosi nella natura umana in essi
rappresentata; un ottimo strumento per riflettere e forse scoprire una fede rinnovata, perduta o mai
avuta. Walter spera che le sue opere possano avere anche questa forza, la capacità di meravigliare il
pubblico come è successo a lui nel momento in cui, stupito, si è reso conto del fatto che, forse, la
sua persona è stata solo un tramite per dar vita alle opere, la mano e lo strumento di lavoro di
qualcosa di più grande. Rimane profondamente convinto del fatto che il pubblico reagirà
positivamente alla visione dei suoi scatti, come chi, facendo visita al suo studio, ha avuto la
possibilità e la fortuna di vedere già parte dei lavori semi finiti o addirittura conclusi ed è rimasto
sbalordito dal risultato, posto di fronte a un Sacro Monte che non aveva mai visto.
Il suo obiettivo per il futuro, oltre alla presentazione di questo enorme lavoro, è rendere la mostra
itinerante, un pellegrino che vuole diffondere la propria luce negli altri. Non solo, poiché nel mentre
è già all’opera per realizzare una serie di scatti notturni legati all’architettura delle Cappelle, nei
quali «il buio è essenziale, poiché la vera luce che deve illuminare il paesaggio è quella interiore che prova il viandante camminando».
E a sentire le sue parole, un giorno tutto questo materiale potrà trasformarsi in un meraviglioso libro d’arte.
«Penso di esserci riuscito, di aver realizzato una mostra davvero spettacolare che mi sta dando le
migliori soddisfazioni ancor prima di averla presentata al pubblico; un omaggio che voglio fare a
questo luogo per farlo conoscere in tutto il mondo. Volevo portare il viandante all’interno delle
Cappelle, ma, al contrario, sono convinto di aver liberato le sculture portando loro lungo il Viale».
Articolo di Amelia Capelli