Può essere che uno scatto valga più di una fotografia?

Un buon fotografo deve conoscere queste due realtà ben distinte e conviverci se vuole dare vita alla sua “Foto”, quella con la “F” maiuscola.

Un’arte sicuramente complessa e discutibile quella di distinguere se un’immagine può essere considerata bella o brutta, ricercata o casuale, artistica o banale. Persino un critico esperto, davanti ad un’immagine ignota, potrebbe trovare difficoltà nell’esprimere ciò che veramente l’immagine vorrebbe raccontare. 

Partiamo con l’ipotizzare che esistano lo scatto fotografico, la fotografia e la Fotografia.

Quale differenza contraddistingue queste tre denominazioni?

Senza dubbio la prima è frutto di una casualità, di quell’istintiva, dolce preoccupazione di riprendere momenti, persone, situazioni e tutto ciò che bisogna immortalare senza porre particolare impegno nella ripresa; un’immagine capace di catturare le emozioni racchiuse in quell’istante anche se spesso noncurante di difetti compositivi. Uno scatto dal valore affettivo e spontaneo che verrà sempre custodito con geloso amore.

La seconda, invece, affonda le sue origini all’interno di una consapevolezza, di una conoscenza tecnica, di una grande capacità compositiva. Essa è per cui capace di creare interesse e fare in modo che lo sguardo di qualunque osservatore si fermi qualche istante ad ammirarla. Tuttavia, la sua immagine in sé rimane un’artificiosa costruzione volta in particolare alla buona riuscita della rappresentazione.

Rispetto alla terza, cioè la Fotografia, riassumerò ciò che penso al suo riguardo in chiusura di questa riflessione. 

Bisogna però tenere a mente il fatto che, molto probabilmente, persino l’occhio dell’inesperto comprende quando un’immagine appare ordinata e ben composta con un corretto rapporto tra soggetto e sfondo, tra prospettive e punto di ripresa, ma può anche capitare che una foto all’apparenza disordinata, confusa e magari mossa e sfocata sia, invece, il risultato di uno studio ben approfondito da parte dell’autore in cerca di provocazioni oppure all’inseguimento di nuove chiavi espressive – qui entriamo, tuttavia, in un campo ancora più complesso e arduo da analizzare, tanto da rappresentare materia per una riflessione a parte da discutere in un diverso articolo -.

Torniamo, dunque, ora allo scatto fotografico senza perderci nei meandri della creatività più profonda. Come asserito precedentemente, quest’ultimo scaturisce da quella ripresa che è frutto di un istinto casuale dettato dal desiderio di avere letteralmente sempre “a portata di mano” un ricordo. Ne consegue la spontanea domanda “può questo scatto valere più di una fotografia?”.

Personalmente credo proprio di sì: quasi sicuramente ogni persona conserva in casa, sul comodino, su di un mobile ben in vista o persino chiusa in un vecchio cassetto, una fotografia stampata su carta, o anche all’interno dei portafogli; a prescindere dalla qualità dell’immagine, essa recherà in qualsiasi istante un valore incommensurabile per coloro che la possiedono, instaurerà con essi un legame emotivo tale da essere considerata un piccolo e prezioso gioiello da mantenere al sicuro e recare sempre con sé, come se il soggetto rappresentato non si allontanasse mai dal cuore in cui è teneramente custodito. 

Collezioni di foto autentiche appartenenti ai grandi nomi della fotografia, detentrici di un valore commerciale e artistico enorme, non potrebbero mai essere paragonate con quelle semplici, quotidiane immagini che raffigurano un proprio amato, un caro lontano o persino scomparso, specie se non se ne hanno molte in possesso. Il lato sentimentale è coinvolto a tal punto da non prestare attenzione a quei dettagli che sono stati probabilmente trascurati. Quelle foto rappresentano una verità che va al di là di qualsiasi imbroglio o manipolazione; con esse non esiste confronto.

Fondamentale in tale contesto è, come si è già ben capito, il soggetto dello scatto, che sia un paesaggio o una persona, una particolare situazione o un animale. Viene facilmente istintivo pensare ad una persona amata, ad una foto della propria giovinezza, ad una scena di gruppo durante una festa o ad una scampagnata, a quel tramonto nostalgico e così via; ebbene, scommetto che pur avendo nel proprio album fotografico uno di questi ricordi, che siano essi sfocati, mossi, scuri, magari persino tagliati a causa di una decentratura, “che nessuno li tocchi o li perda”. Lo sguardo, ma soprattutto i sentimenti, a fatica potrebbero sopportare l’inconsistenza materiale di ciò che li fa sognare. Questo il potere e la forza prodigiosa della più semplice delle fotografie. Lo scatto racchiude in sé un calore emozionale, un piccolo racconto nascosto che traspare spesso dalla povertà della ripresa, dalla noncuranza della luce, dal disordine compositivo, effetti conseguenti all’intenso desiderio di fermare l’attimo in un momento in cui l’unica certezza è di essere riusciti ad intrappolare un solo istante. Questo nella fotografia si trasforma comunemente in una narrazione confezionata ad arte, spesso persino ispirata o imitata ad altri autori; sicuramente bella, ma fredda e spenta poiché nella sua stessa natura non esiste un’autentica e spontanea storia. Ed è proprio questo contrasto tra fuoco e ghiaccio che si incontra la distanza che intercorre tra scatto e fotografia.

Per fare un esempio, proviamo ad immaginare la foto di una nonnina circondata dai suoi nipoti con una bella torta di compleanno, soddisfatta di essere in bella compagnia, assieme alle persone che ama. Sullo sfondo della scena si intravedono alcuni soprammobili, il calendario, un quadretto col santo preferito, una rivista e tutto ciò che faceva parte della quotidianità della festeggiata. Confrontiamo ora questa scena piuttosto confusa, ma vera, con un’immagine costruita con attenta precisione in cui il taglio della luce crea profili di carattere, dove lo sguardo del soggetto principale si perde nel vuoto a dissimulare la presenza del fotografo e la mano della signora si trova in posa con innaturale tensione, pronta a tagliare il dolce, i nipoti istruiti ad una posizione ordinata e tutt’intorno una messa a fuoco perfetta volta a creare una scenografia ineccepibile.

Sì, quest’ultima foto sarà una bella immagine, ben studiata e ben composta, ma se andiamo a leggere con attenzione entrambe le rappresentazioni, percepiremo immediatamente che nella prima i caratteri e i pensieri di ciascun soggetto emergono dagli sguardi e dalle posture naturali, mentre nella seconda ognuno cela dentro di sé le proprie emozioni, tutti attenti e concentrati al risultato della foto stessa, pensando probabilmente ad un’unica cosa: apparire bene.

È finalmente giunto il momento di scoprire il segreto della terza carta, la Fotografia.

Cosa ha di diverso dalle precedenti? Semplicemente rappresenta la fusione di scatto e fotografia, convergenza in cui esperienza, tecnica e capacità compositiva non bastano, poiché si rendono qui necessari anche la presenza e l’intreccio di sensibilità, psicologia e complicità tra rappresentati e rappresentante, vale a dire la consapevolezza da parte del fotografo di raccogliere con naturalezza e sincerità i caratteri della scena, proponendoli, tuttavia, con rigore e ordine, facendo in modo che la Fotografia non solo mostri ciò che visivamente raffigura e attrae a primo impatto lo sguardo dell’osservatore, ma che riesca anche a raccontare i sentimenti di tutti coloro che sono in essa presenti, stimolando l’immaginazione dello spettatore, come se contemplando l’immagine egli provasse l’illusione di essere testimone di quell’istante e lieto partecipante dell’evento

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